“Bologna, studente universitario si suicida al Pontelungo”. (Corriere di Bologna)
“Finge di laurearsi e si suicida per la vergogna a 23 anni”. (Informazione.it)
“Studente si suicida all’università ma prima scrive al Rettore”. (FanPage)
“Studente suicida a Pavia per l’ossessione dei voti”. (Informazione.it)
Potremmo continuare per ore, forse giorni. Se scavassimo per bene tra le pagine dei quotidiani, dei giornali online, probabilmente queste enumerazioni suicide di ragazzi dai sogni spezzati proseguirebbero a lungo. E questo terrorizza! Ci deve terrorizzare!
Ogni genitore sogna di vedere il proprio figlio realizzato. Madri e padri aspirano all’indipendenza di quest’ultimo, così da renderlo autonomo sotto ogni punto di vista. Ma quanti, superficialmente, pensano che realizzato sia sinonimo di felice? Alzi la mano chi sostiene che l’indipendenza, quella pretesa, quella asettica, quella che non prevede un saldo rapporto genitoriale alla base, faccia di un individuo un UOMO o una DONNA. Quanto spesso (veramente) si chiede ad un figlio se la strada che sta perseguendo sia frutto della sua stessa volontà o di una traslazione genitoriale? E per traslazione genitoriale si intende quella voglia irrefrenabile, a tratti egoista, di trasformare il proprio figlio in quel famoso “specchio” in cui si riflettono le ambizioni non raggiunte. Purtroppo, la proiezione di sé stessi non è mai stata libertà dell’altro.
Sogni spezzati: I casi degli studenti suicidi
Si parla spesso di uomini che, nonostante siano padri di famiglia, si tolgono la vita a causa di problemi economici importanti. E ci si chiede perché nemmeno l’amore per i propri figli o per la propria moglie sia riuscito a bloccare un istinto tanto brutale. La stessa domanda la si rivolge ai familiari, agli amici e ai parenti stretti di quegli studenti che, nonostante siano circondati da un affetto tanto grande decidono di farla finita, rinunciando per sempre ai loro sogni. Questione di tempismo, si potrebbe dire. Ma è chi li circonda a non accorgersene o sono i ragazzi che, avendo imparato il gioco della dissimulazione (soprattutto relativa alle proprie emozioni) hanno, ormai, un eccezionale talento e un’enorme padronanza nel gioco della finzione?
Sicuramente, l’OMS (Organizzazione Mondiale Della Sanità) aveva tentato di mettere tutti in guardia da quello che sarebbe stato considerato il male del secolo, la depressione. Ma nessuno avrebbe mai pensato che la sua espansione a macchia d’olio avrebbe colpito soprattutto gli under 30. Numerose sono state le testimonianze raccolte da giovani universitari dai sogni spezzati, i quali non si sono astenuti, seppur delicatamente, dal lanciare delle richieste d’aiuto, sfortunatamente senza successo.
E così, qualche anno fa, il campus universitario di Fisciano è stato teatro dell’orrore, ospitando ben quattro suicidi. Tra questi, l’ultimo ha colpito una trentenne, lanciatasi dal quarto piano del parcheggio multipiano dell’ateneo. Daniela, così si chiamava, frequentava la facoltà di medicina e aveva deciso di lasciare gli studi, a causa di un periodo di depressione. I genitori erano convinti che il periodo buio sarebbe passato e che Daniela sarebbe ritornata in quel posto che, purtroppo, l’ha riaccolta nel modo sbagliato.
In seguito a questo tragico episodio, una collega della ragazza decide di pubblicare un post su Facebook, come fosse una traduzione urgente di quei messaggi subliminali che si concretizzano, poi, in gesti atroci. Il post diceva: “I successi sono bellissimi ma smettetela di pensare che sia semplice. Ognuno fa i conti con i suoi ostacoli, con i suoi limiti. Fateci un favore: chiedeteci come stiamo, se vogliamo prendere un caffè; non chiedeteci quand’è l’esame, se siamo preparati”.
Prevenire è meglio che curare
È senza dubbio che i giovani di oggi siano contraddistinti da una peculiare fragilità. Ed è altrettanto indubbia la pressione ossessiva della società che li ospita.
“Sempre di più, sempre meglio”, potrebbe essere considerato il nuovo slogan sociale. Questi ragazzi sono fomentati dai cori di una realtà che li vuole performanti, perfetti, migliori di tutti. Persino di sé stessi. Non ammette sgarri. Non c’è spazio per studenti fuori corso.
Posti che avrebbero il compito di formare i professionisti del domani, che dovrebbero inorgoglirsi del fatto che esistano giovani tanto avvezzi alla cultura, diventano macchine da soldi. E spesso, lo studente fuori corso diventa un pilastro economico portante: più anni si perdono e più soldi si pagano. Quello che si paga, però, è anche il prezzo della vita che tantissimi decidono di sospendere per sempre perché spesso vengono visti come dei podisti, degli atleti che gareggiano per arrivare primi, quando l’unica cosa che dovrebbero rincorrere sono le loro ambizioni.
C’è un modo per prevenire tutto questo?
La risposta è assolutamente affermativa e si chiama comunicazione. Bisogna insegnare ai giovani a credere in se stessi, incoraggiarli al futuro.
E, soprattutto, a non confondere il numero che li valuta oggi con il proprio reale valore, ciò che li definirà domani.