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I nuclei fondanti dell’educazione e il ruolo incisivo della comunicazione efficace (Parte 1)

educazione

L’educazione, come affermano da sempre i più importanti pensatori, è un processo di umanizzazione determinato, quasi sempre, da una serie di scelte concrete, dall’atteggiamento nei confronti di se stessi, del mondo, dei rapporti con gli altri, dell’amore, della vita.

Infatti, secondo la teoria sostenuta dalla scuola fenomenologica di Edmund Husserl (1859-1938), i tratti caratteristici delle nuove frontiere educative, poggiano sul primato della personalità, del suo contatto con la realtà esterna e sul concetto di comunità, come luogo di scambio interpersonale. Quando parliamo di educazione, ci riferiamo, perciò, alla formazione umana e non ai problemi dei contenuti disciplinari e alla modalità di trasmettere i saperi, riferiti al campo dell’istruzione, in cui prevale il concetto dell’accumulo delle conoscenze e che, ancora oggi, caratterizza, spesso, i piani progettuali, elaborati dalle singole istituzioni scolastiche.

Allo scopo di offrire chiaro paradigma del problema, si offre, qui di seguito, una breve sintesi, necessariamente, riduttiva, di alcuni nuclei fondanti, dell’azione educativa, ricavati da varie scuole di pensiero.

In particolare, si possono segnalare : la maieutica (aiutare a nascere), l’emancipazione, l’azione dialogante, l’accompagnamento al bivio, la lentezza e l’attesa, come scelta pedagogica, l’ascolto attivo ed empatico,

ALCUNI NUCLEI FONDANTI DELL’EDUCAZIONE

Educare significa riconoscere che l’essere umano possiede, già dalla nascita, particolari dotazioni native, potenzialmente nascoste, che prevedono, però, la necessaria presenza dell’educatore, il quale compie il gesto dell’ostetrico, vale a dire, il gesto maieutico dello “tirare fuori”, come affermava Socrate (470-399 a.C.), che è completamente diverso dall’ “insegno” (inteso come azione del mettere dentro, tipica dell’istruzione).

Questo significa che ogni persona può realizzare un’esperienza educante, solo in presenza di altri, con i quali deve necessariamente stabilire un rapporto di interazione personale.

Tale concetto dell’ “aiutare a nascere”, è ripreso da Martin Buber (1878-1965), importante esponente della filosofia dialogale, il quale sostiene il principio che l’uomo afferma veramente se stesso nel dialogo, dal greco LOGOS (ovvero discorso) , e DIÀ (Tra), cioè, nella relazione dell’Io con il Tu.

Educazione come emancipazione

Seneca (4 a.C- 65 d.C) affermava che l’atto educativo è emancipazione, in cui un adulto deve guidare l’educando in un processo di “liberazione” dall’insicurezza, dalla paura, dalla sfiducia e da una serie di catene interiori, che lo rendono prigioniero dei suoi problemi, per metterlo in condizioni di risolvere le sue vicende esistenziali, in modo autonomo e di costruire, con le proprie mani, un progetto di vita. 

Educazione come guida

Nel contesto dell’azione educativa, intesa come guida a trovare la strada, è collocabile la teoria di Kirkegaard (1813-1855), secondo il quale, educare vuol dire “accompagnare al bivio”. Chi educa porta l’altro sino al bivio, ma non sceglie mai per lui. L’adulto che sceglie per il bambino, nel momento in cui sceglie, impedisce all’altro di essere autonomo e responsabile. Gli educatori devono, quindi, maturare la consapevolezza che, per facilitare il processo di crescita, maturazione e sviluppo degli allievi, bisogna essere rispettosi nei loro confronti, senza avere la pretesa di scegliere e decidere per loro. Bisogna, dunque, evitare di desiderio di piegare gli altri al proprio volere, di cancellare, con un atto di comando, la realtà esistenziale degli altri.

Educazione come rispetto

Educare significa, anche, saper aspettare, senza anticipare i tempi e correre a tappe forzate. Se l’altro sa che noi sappiamo aspettare, prima o poi arriverà. Già Jean Jacques Rousseau (1768-1778) diceva che “bisogna perdere tempo per guadagnarne”. Più recentemente, il pedagogista Gianfranco Zavalloni (1920-1987) ha promosso, come proposta educativa, l’elogio della lentezza: “per arrivare alla meta non bisogna correre, magari improvvisando, ma impegnarsi senza fretta e in modo oculato”. Ogni insegnante sa che non può costringere un bambino a farlo camminare su un asse d’equilibrio, se non ha maturato l’alfabeto motorio del camminare. Questa forzatura oltre ad incidere negativamente sul processo di sviluppo motorio, annienta la sua autostima e la sua spinta motivazionale.

Leggi anche: Educare alle emozioni: il ruolo della scuola

Carl Rogers (1902-1987), fondatore della filosofia umanistica, sostiene che, nello svolgere la funzione educativa è necessario, per l’insegnante, attivare un approccio centrato sulla persona e mettersi, quindi, in una posizione di ascolto attivo ed empatico, e non superficiale, nei suoi confronti. Per lo studioso, comunicare significa, per il 90%, ascoltare, per cui “l’esperienza dell’ascolto e della presenza rende più nutriente il nostro modo di essere al mondo e di vivere le relazioni non soltanto professionali, ma anche personali”.

Un educatore è tale, pertanto, se sa ascoltare : ascoltare, infatti, significa che “Io ti ascolto perché mi interessi tu che parli…quindi io decifro, anche quello che dici, ma lo decifro perché mi interessi tu”.

LA COMUNICAZIONE COME FONDAMENTO DELLA RELAZIONE EDUCATIVA

L’uomo, per potere sopravvivere, nel corso della sua evoluzione, ha dovuto sviluppare, in modo specializzato, una necessaria competenza comunicativa, per cui essa rappresenta la dimensione più importante dell’intero processo educativo .

Il termine comunicazione, derivato dal latino cum = con e munire = legare, mettere insieme, far partecipe, è un processo che non si limita alla trasmissione di un messaggio, ad una via (dall’emittente al ricevente), sui saperi e dei saperi, né una forma di generico rapporto interpersonale, ma va inteso come un tentativo d’incontro, animato da una vena affettiva, che rende possibile uno scambio reciproco di esperienze, idee, pensieri, sentimenti, conoscenze, desideri, bisogni (insomma un vero e proprio scambio di doni).

Secondo Daniel Stern (1934-2012), psicologo americano dell’Università di Ginevra, i nostri sistemi nervosi sono concepiti in maniera tale da essere captati da quelli altrui, così che possano captare le sensazioni degli altri, come se fossimo nella loro pelle. Questo significa che l’uomo non può accedere ad una dimensione di vita autentica, senza un rapporto comunicativo e un incontro empatico con l’altro. Su questo tema è particolarmente significativo il concetto espresso dal filosofo e psicologo Paul Watzlavick (1921), nel suo libro “La pragmatica della comunicazione umana”, quando afferma : “dato che tutti i comportamenti sono comunicazione, non possiamo non comunicare”.

Educazione come comunicazione empatica

Sulla base dei principi sopra esposti, si deduce che la comunicazione, e la comunicazione empatica in particolare, costituisce la base fondativa di tipo educativo, su cui si sviluppano gli alfabeti del convivere e della cittadinanza attiva; infatti, comunicare significa creare comportamenti, utilizzando una corrente affettiva, basata sulla comprensione e sulla condivisione emotiva di significati. Come sostiene Giuseppe Acone : “la relazione interpersonale, intesa come luogo della comunicazione, rappresenta l’orizzonte e il fondamento dell’educativo e dell’educabilità.

 È, inoltre, convinzione diffusa che i saperi passano prima, attraverso il cuore, poi attraverso il cervello: parliamo con la mente, ma comunichiamo con il cuore. Se si stabilisce un rapporto educativo, comunicando senz’anima, in modo asettico, senza un flusso emotivo, c’è, da parte del ricevente, sordità , indifferenza, disinteresse, noia, a volte, rifiuto. In definitiva, possiamo arrivare alla conclusione che, essendo, l’educazione, un processo che richiede, continuamente, un rapporto interpersonale, l’educazione coincide con la comunicazione.

GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI DELLA COMUNICAZIONE

I rapporti interpersonali si concretizzano con le varie modalità di comunicazione, in cui ogni individuo presenta a sé stesso e agli altri, il suo biglietto da visita, manifestando, così, il suo modo di essere al mondo. La qualità del processo socio-educativo è legata al tipo di comunicazione, che si attiva tra emittente e ricevente, che si può manifestare, in atteggiamenti e comportamenti positivi (comprensione, condivisione, sintonia emotiva, clima cooperativo), oppure in atteggiamenti e comportamenti negativi (incomprensione, divergenze di vario tipo, conflittualità, dissonanza emotiva). La letteratura specializzata, normalmente, distingue i seguenti tipi di comunicazione, riferiti alla diversità dei codici utilizzati : la comunicazione verbale, la comunicazione non verbale, la comunicazione paraverbale.

Comunicazione verbale, non verbale e paraverbale: Limiti e potenzialità

A tale proposito, è bene specificare che la comunicazione verbale trasmette, prevalentemente, i contenuti di una comunicazione, il linguaggio non verbale e paraverbale trasmette, invece, gli aspetti emotivi e di relazione, che, veicolandone la componente affettiva, esprimono emozioni, gioia, rabbia, tristezza, disgusto, disprezzo, disinteresse, sorpresa, ma anche tenerezza, gioia, accettazione, ecc.

Su questo punto è utile sottolineare che, nei contesti educativi quotidiani (soprattutto in quello scolastico), viene, di solito, privilegiata la comunicazione verbale, trascurando le potenzialità di una comunicazione non verbale. Eppure non c’è un momento della vita sociale che non sia segnato da un comportamento basato su questo tipo di comunicazione. È cosa nota, infatti, che una parte importante della comunicazione, come l’espressività corporea, avviene in assenza di parole, come la postura, la mimica facciale, il gesticolare, il semplice sguardo, una stretta di mano, ecc. Lo stesso silenzio, che è in grado di esprimere pensieri, sentimenti, stati d’animo personali, consente, anche, di mettersi in ascolto dell’altro.

Leggi la seconda parte dell’articolo

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